SHOCK IN MY TOWN (Angela&Me 5)

Niente da fare.
Per quanto mi affaccendassi, la situazione era tragica.
Ero consumato d' amore per Angela, ma lei sembrava fregasene di me.
Credo fosse timida.
Nonostante mi avesse tirato un ferro da stiro bollente in viso, e una cassapanca da dieci chili erotti su una spalla, ero ancora convinto di amarla fortemente.
Non chiedetemi da cosa derivasse questa convinzione.
Lo so e basta.
Tutte le volte che avevo intercettato le sue telefonate, a qualunque ora provassi, sentivo sempre lamenti, mugolii, dei "Sì", "Così", "Di più".
Scrissi una lunghissima lettera a Telecom per far presente delle gravi interferenze sulla linea.
Mi assicurarono che non c'era nessun problema.
Rimasi come un gatto di marmo, ma più rigido.

Ma non mi diedi per vinto. Decisi.
Era una lotta tra me e Gianluca.
Gianluca, per chi ancora non lo sapesse è quel porco, bisex, frocio, lesbico, che sta sempre dietro al mio amore.
Purtroppo Angela sembra starci sempre.
Mi presentai a casa della mia amata, un giorno di maggio con il frac e farfallino.
Suonai il campanello teso come una corda di violino.
Venne ad aprire un uomo sulla cinquantina, che, contrariamente a quella che sembrava essere la tradizione di famiglia, mi chiese molto garbatamente qual buon vento mi portasse qui.
Mi presentai alla stessa maniera in cui lui mi aveva aperto, cioè garbatamente e mi venne offerto di entrare a bere un tea.
Quando entrai sentii una vocetta che disse pressappoco:
- 'A pa'! Chi cazzo è che rompe a quest'ora?
- Non ti permettere di chimare così un tuo amico che ti è venuto a trovare.
- Ah! E' già arrivato Gianluca? Scendo subito.
Quando scese e mi trovò lì, invece di cadermi tra le braccia come sarebbe stato logico aspettarsi, mi puntò una beretta alla fronte e diede tutta l'aria di voler premere il grilletto.
Il padre fece appena in tempo a fermarla, prima che potessi dire addio a tutti.
- Ma Angela! Ti sembra questo il modo di accogliere un tuo amico che è stato così cortese da venirti a trovare?
- Ma papi! Io aspettavo Gianluca!
- Ancora quel tamarro? Ti avevo proibito di incontrarlo ancora. Poi vieni qui a piangere perchè ci ha provato in modo molto plateale! E ci credo!
- Ma io lo amo!
- Dimenticalo! C'è gente molto migliore al mondo!
- Tipo?
- Tipo... tipo... ecco! Tipo lui!
Disse, indicandomi come si indica un fiore raro.
- Ma scherzi pà?
- Affatto. Io sono sicuro che è su tipi come lui che potresti fondare il tuo futuro. Elegante, garbato, simpatico ma per nulla volgare... e potrei sicuramente andare avanti all'infinito.
- Grazie, sir. Ma non credo di meritare tutti questi aggettivi- dissi.
- Di nulla, giovanotto. si vede da lontano un miglio che sei un tipo a posto. Gradisci un tea?
- Volentieri sir.
- Lasciamo perdere i convenevoli. Puoi chiamarmi Andrea.
- Piacere, Gabriele Alese.
Ci ritrovammo in salotto, a sorseggiare tea da tazzine di porcellana.
Mi trovavo benissimo e passammo una buona mezz'ora a parlare.
Nel frattanto si sentì bussare alla porta.
Due colpi secchi ed energici. Come quelli della polizia.
Entrò un giovane di età intorno ai quindici anni, fumando una canna e ruttando.
- Ciao bella ggente! Come và?
- Male ora- rispose il padre - Tu devi essere Gianluca.
- Eccerto. Addò stà Angela? Aoh Angela, annamo và te porto cor motorino alle ggiostre!
- Vengo!!!
Lei fece per andare, ma il padre la bloccò con una rapida mossa dell'avambraccio.
- Ma che sei scema? Tu, con questo tamarro, alle giostre, col motorino? Ma che siamo diventati matti???
- Ben detto - aggiunsi io.
Al che lui - E 'sto elegantone qua chi sarebbe? Madonna, ma dò stai a annà? A 'n funerale?
Non raccolsi. Il silenzio a volte è peggio di un insulto.
- Aho! Risponni! Che te hanno tajato la lengua?
Al che il padre - Non ti permetto di rivolgerti così al nostro ospite. Comunque voi non andate da nessuna parte. Rimaniamo qua, a bere un tea parlando, come persone civili.
- Non credo che i tamarri digeriscano il tea. Probabilmente qui qualcuno è nel posto sbagliato.
- Aho? Che me stai a 'nzurtà? Ma mò te mollo un cazzotto che te cambio de sesso! Te faccio diventà omo!
- BASTA! Gianluca vai fuori e lascia in pace le persone civili!
- Ben detto.
- Mò se non la smetti te faccio volà!
- Ora basta! Fuori Gianluca!!!
Guianluca fu cacciato e tutto riprese normalmente.
Rimasi persino a cena, e passammo il dopocena ascoltanto la collezzione di cd del padre di Angela.
Me ne andai a tarda notte, colla promessa di tornare a pranzo.
Mi addormentai in preda a dolci sogni. La prima strada per arrivare al cuore di una ragazza è conquistare quello dei suoi genitori.

L'indomani mi fu servito un eccellente pasto, accompagnato da un bicchiere di vino e parole amichevoli. Solo Angela sembrava immersa nei fatti suoi.
La madre preoccupata le chiese cosa non andasse.
- E me lo chiedi? La compagnia fa schifo almeno quanto la pasta al forno!
- Non ti permetto di criticare la mia cucina. Tanto più che Gabriele l'ha gradita.
- Eccome. Anzi, una pasta al forno così non l'ho mangiata mai.
- Ci credo - disse Angela.
- Insomma, basta! - intervenne il padre - Ne ho abbastanza del tuo attegiamento Angela! Fila in camera tua!
E aggiunse - Diamine! Che figlia degenere.
Quando però noi, insospettiti dalla silenziosità della camera, andammo a cercarla, ci accorgemmo che ci aveva fregato. Aveva lasciato solo un biglietto: "Ciao teste di cazzo".
Dissi: - Accidenti.
Il padre dal canto suo aveva cominciato a bestemmiare a tutto spiano, mentre girava senza meta per la casa, sfasciando tutto ciò che incontrava.
Pari al modo in cui ero venuto me ne andai.
Silenziosamente.

A DAY LATER

Tornai a casa di Angela dopo solo un giorno, a vedere cosa mai fosse successo.
Dopo aver bussato due volte, una voce suadente da dentro mi disse - Se sei il postino entra, se sei Gabriele vai a fare in culo.
Non avevo scelta.
- Sono il postino.
- Benissimo, entra pure.
Entrai rapidamente, e subito richiusi la porta alle mie spalle.
Angela, che era in salotto ad amoreggiare con Gianluca, non la prese bene.
Tentò a più riprese di buttarmi fuori.
Io resistetti più che potei.
Dopo una estenuante lotta di più di due ore, optammo per la tregua e Angela mi lasciò entrare.
Mi sedetti sul divano, proprio sopra la testa del tamarro.
Pardon, di Gianluca.
Molto irritato, disse - Aoh, a frocio! Levate dalle palle!
Feci un salto come non ne avevo mai fatti in vita mia, urtando il soffitto.
Chiesi, quasi conoscendo la risposta: - Che state da soli a casa?
- Sì. Abbiamo legato mamma e papà in camera da letto.
- Raccapricciante.
- Poi dillo forte - disse il tamarro Gianluca.
Mi sentii perso.
Ma talmente perso che non mi accorsi di Angela che mi sbatteva fuori.
Me ne accorsi solo quando, dopo un volo di quasi cento metri, caddi rumorosamente a terra.
Non mi diedi per vinto.
Presi una lunghissima rincorsa, e buttai giù la porta, gridando come un ossesso.
- Porca zozza! - dissi, cercando di dare alla mia voce un tono perentorio e severo, pur ottenendo l'effetto opposto; tanto che lei continuava nel suo "lavoro" come se non ci fosse altro.
Mi venne un'idea geniale.
Presi un panno e, imbevutolo di Cloroformio (ne ho sempre un pò in tasca) lo appoggiai alla bocca di Gianluca.
Angela, tuttavia continuava a lavorare.
Non sapevo che fare.
Tentai di appoggiare il panno col Cloroformio anche sulla sua bocca, tuttavia la sua bocca era ancora occupata.
Cercai di sfilarle di bocca quell'oggetto con tutte le mie forze, ma lei serrò talmente forte le labbra che mi fu impossibile tentare la rimozione dell'oggetto estraneo.
Attesi pazientemente.
Dopo 2/3 ore, Angela era ancora occupata, e io decisi, mentre aspettavo che si stufasse, di andare a liberare i genitori.
Li trovai esattamente come me li aspettavo.
Addormentati e legati come salami.
Li liberai e li svegliai.
- Dobbiamo fare qualcosa. Angela è talmente occupata dalla sua ehm... attività... che non si riesce a staccarla dal... ehm... oggetto estraneo.
- Cazzo! - urlò il padre.
- Ecco... vedo che ha capito.
Scendemmo velocemente.
Il padre, resosi conto della gravità del fatto, decise di usare il "rimedio definitivo".
- Sarebbe a dire? - domandai.
Prese un paio di forbici.
- Non vorrà mica...
- Esattamente. Così prendiamo due piccioni con una fava.
Mi diede le forbici e mi disse: - Vai.
- Ma perchè sempre io?
Non ebbi risposta.
Mi avviai e, fattomi coraggio, azionai le lame.
Gianluca urlò tutto quello che di urlabile gli urgeva nel petto, e, mentre Angela cercava di porre rimedio al disastro con ago e filo, lui mi diede un cazzotto che mi sollevò da terra e mi fece planare fuori casa, lanciandomi contro un muro di porfido.
Su quel muro c'è ancora la mia impronta.